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martedì 24 gennaio 2012

IL MESSIA di G. F. HAENDEL

[file] 29 giugno 1998 Messia/Francesca 

Nel 1732 Handel -che si trovava già stabilmente in Inghilterra da quindici anni- riceve una lettera in cui il suo impresario e amico Aaron Hill lo invita ed invita se stesso a "liberarci dalla nostra servitù italiana, e dimostrare che l'inglese è abbastanza duttile per l'opera". Handel, in realtà, lo aveva già sperimentato alcuni anni prima quando aveva composto il suo primo oratorio inglese, Esther (1718, la versione originaria si intitolava anche Haman e Mordecai.). Ma è proprio a partire dagli anni '30 che Handel -dato anche il divieto che il vescovo aveva posto circa il porre in veste teatrale i testi biblici- si rituffa nell'oratorio con rinnovato interesse. Rapido inquadramento della figura di Handel e del suo rapporto con l'opera fino a quegli anni. Originario della Sassonia (era nato ad Halle an der Saale nel 1685), aveva contribuito negli anni di Amburgo (1703-1705) all'opera nazionale tedesca con la Johannespassion (1704) e l'Almira (1705). Si colloca a questo punto il suo viaggio in Italia, miniera di contatti musicali, incontri, commissioni di opere e nascita del suo innamoramento per l'opera italiana. Fu proprio in Italia, a Firenze, che rappresentò la sua prima opera, il Rodrigo (1706). Successo enorme fu tre anni dopo la prima rappresentazione della sua seconda opera, l'Agrippina, che inaugurò a Venezia la stagione di Carnevale (con il pubblico che acclamava al grido di "Viva il Sassone") e fu replicata ventisette volte. Senza soffermarci sulle tappe di Roma e di Napoli -anch' esse feconde di conoscenze, commissioni e concerti (a Roma rappresentò il suo primo oratorio, "La Resurrezione")- già questi pochi dati danno l'idea del successo con cui Handel approcciò l'opera italiana. Favorito senz'altro, in questo, dall'aver potuto attingere ispirazione nella terra stessa da cui l'opera nasceva, dall'essersi mescolato a chi quella lingua la parlava anche nel quotidiano (lui tedesco che si sarebbe poi naturalizzato inglese), aver potuto visitare quelle città, essere ospitato presso quelle corti. E dall'aver conosciuto -oltre a Ferdinando dei Medici, ai cardinali Pamphili e Ottoboni, al vicecancelliere Colonna, al maestro di cappella Steffani (conoscenza quest'ultima che gli giovò nel 1710 la successione a quella carica)- musicisti del rango di Corelli, Marcello, e soprattutto Domenico Scarlatti con cui strinse un'amicizia che sarebbe continuata poi negli anni di Londra. Ecco la miniera di risorse per il presente e per il futuro che rappresentò per Handel il viaggio in Italia, come sarebbe stato per Mozart bambino negli anni '70 di quello stesso secolo. 

Ma torniamo a Handel e alla sua produzione di opere: lo ritroviamo a Londra nel 1710 con il grandissimo successo del suo Rinaldo. Morto Purcell, l'Inghilterra si era trovata priva di grandi maestri; nello stesso tempo sempre più si diffondeva negli ambienti aristocratici e di corte l'attrazione per la musica straniera, specie italiana: due circostanze che rappresentavano una promessa per il nostro Handel per nulla appagato dalla sedentaria vita di Kapellmeister, e per di più in un contesto culturale piuttosto provinciale come quello di Hannover. Egli attraversò la Manica diverse volte prima di stabilirsi definitivamente in Inghilterra (1717). Radamisto (1720) rappresentata nel teatro di Haymarket di cui aveva ottenuto la direzione fu un altro grande successo. Ma non era tutta vita facile per Handel da quando -nel 1714 - alla morte della regina Anna sua protettrice era successo Giorgio I, a lui avverso. Il nostro dovette sostenere faticose lotte con musicisti rivali che venivano a lui contrapposti - Bononcini, Hasse, Porpora - e attraversò difficili momenti dai quali seppe però sempre riprendersi continuando a produrre opere: Giulio Cesare (1723), Tamerlano (1724), Riccardo I (1727), Orlando (1733), Serse (1737), per nominarne solo alcune. 

Un duro attacco all'opera italiana venne però fra gli anni '20 ne gli anni '30 dalla Beggar's Opera, un genere di commedia satirica, parte in prosa e parte in musica che svolgeva nello stesso tempo funzione di critica alla corruzione di corte e al malcostume dilagante e di parodia dell'opera italiana. Tematica quest'ultima che ben attecchiva nell'animo moralistico di una certa fascia di ascoltatori inglesi che non aveva mai accettato nel profondo l'introduzione dell'opera italiana. Ed è in questo contesto e con questa storia alle spalle che si colloca la lettera di Aaron Hill citata all'inizio, con l'invito rivolto ad Handel a liberare la English Music dalle catene italiane. Ed è a questo punto che H. si impegna con rinnovato vigore alla forma dell'oratorio al quale riesce a dare con la lingua inglese una dimensione sovranazionale laddove fino a quel momento il genere oratorio era rimasto circoscritto in specifiche aree religiose nazionali (ed Handel stesso aveva dato il suo contributo componendo sia oratori in lingua italiana che in lingua tedesca). Ed ecco Deborah (1733), Athalia (1733), Saul (1738), Israel in Egypt (1738) ed arriviamo nel 1741 al nostro Messia. 

Fra i precedenti italiani di Handel compositore di oratori è stato individuato Carissimi che nelle sue Historiae aveva asserito energicamente l'autonomia dell' oratorio come genere musicale. Fra Carissimi e Handel si collocano musicisti come Stradella, Scarlatti, Caldara. In realtà Handel non rompe ma rinnova i legami fra opera e oratorio, facendo in modo che gli influssi italiani avessero il predominio sui residui influssi tedeschi o sui sopraggiunti inglesi (specie purcelliani). Ritroviamo così nell'oratorio di Handel qualcosa del mottetto del 500, del madrigale del 600, l'antifona a "cori battenti" dei maestri veneziani, il canto fermo e il corale armonizzato della pratica tedesca, le inflessioni popolaresche delle canzoni inglesi, ma anche elementi di ascendenza strumentale quali le articolazioni della ciaccona, la dialettica del concerto grosso, l'euritmia dell'aria tripartita. "Precipuamente suo, invece, e d'importanza decisiva è il farsi consapevole dell'impulso della materia vocale a espandersi e ordinarsi nei blocchi sonori del coro, che appunto dall'Esther in poi diviene con Handel il canale del nuovo corso, nel quale confluiscono circa due secoli di musica vocale" (dal "Dizionario della musica e dei musicisti", Utet, 1986"). Egli inserisce inoltre due nuovi elementi: il coro recitativo e la doppia fuga. Handel sosteneva -dice Hawkins - che "la poesia congiunta alla musica non bastava a costituire il trattenimento di una serata per il pubblico inglese; a tenerlo sveglio occorreva l'apparenza di un intreccio o di una favola". Tuttavia le sue stesse affermazioni non lo vincolarono più di tanto. 

Ma torniamo al Messia. La prima esecuzione di questo oratorio fu riservata agli ascoltatori irlandesi (Dublino, 1741) il cui paese era diviso fra maggioranza cattolica sottomessa e minoranza protestante dominatrice. Quasi un tentativo di mostrare loro che si poteva superare questa divisione abbracciando una visione più larga del cristianesimo. Il "Messia" è la storia della missione del Cristo sulla terra e del suo riscatto dell'umanità dall'annientamento della morte. Il libretto, diviso in tre parti, attinge a brani tratti dai Profeti, dai Salmi, dal libro di Giobbe, dai Vangeli di Luca, Matteo e Giovanni, dalle Lettere di San Paolo, dall'Apocalisse. Se nel testo - inteso nel senso di storia - mancano dei personaggi ben individuati, nella musica invece le quattro voci soliste (soprano, contralto, tenore e basso) sono largamente utilizzate in arie, ariosi e recitativi secchi alternati o connessi al coro, un duetto e un breve quartetto. Handel compie inoltre un'operazione di semplificazione del canto, sia nella maggior parte delle arie che nei numerosi cori (inferiori numericamente solo a quelli dell'Israel). Il celebre "Alleluja" è stato definito "termine di paragone delle cause che resero Handel più moderno rispetto a Bach. La trama del brano - continua il commentatore - sottolinea la scomparsa d'ogni residuo "gotico"; ritmo e melodia permeano l'antico contrappunto delle nuove leggi armoniche". ("Dizionario della musica e dei musicisti"). A proposito di contrappunto e armonia, Handel -dice Massimo Mila- usa con maestria il contrappunto ma il suo pensiero musicale è fondamentalmente armonico laddove la struttura contrappuntistica del pensiero musicale di Bach faceva scaturire l'armonia proprio dal gioco contrappuntistico delle voci. 

Il libretto del Messia, opera di cui l'autore -Jennens- andava molto orgoglioso: le tre parti di cui si compone sono piuttosto separate l'una dall'altra per quanto riguarda i contenuti. Nella prima parte l'attesa e l'annuncio dei profeti culminano con la nascita dal Salvatore ("A child is born") e con glorificazioni e tripudi varii. La seconda parte, anche detta "Piccola passione, funge quasi da antitesi: in essa si passa da sentimenti mesti a toni di dolore lacerante (("Thy rebuke hat broken His hearth; He is full of Heaviness") fino all'apoteosi della Resurrezione (v. senso di potenza e di vittoria che trasmette l' "Alleluja"). Nella terza parte sono esposti gli effetti della vittoria di Cristo sulla morte (sintetizzabili nelle parole di Paolo "The trumpet shall sound ..... and we shall be chang'd"); il culmine è l' Amen con la sua ricca polifonia delle quattro voci del coro e della strumentazione orchestrale. Questi tre blocchi, questi tre pezzi di storia non rimangono però staccati uno dall'altro proprio grazie alla musica di Handel che agisce da elemento unificante e -come sostengono alcuni- fa da veicolo della parola. 

Il senso generale, filosofico dell'opera va rintracciato nell'esposizione di una religione saggia, ottimistica, larga, comprensiva; e la musica a ciò contribuisce potentemente e con efficacia. Musica che non è più considerata oggi la più alta che Handel abbia scritto, ma forse la più universalmente accessibile.

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